I banchetti romani erano movimentati. Fiumi di vino, montagne di cibo, commensali sdraiati tre a tre, in multipli di nove (gli invitati principali) ma anche una piccola folla di servi, clienti, schiavi liberati, intrattenitori. Senza contare che a tavola non si usavano le posate (a parte i cucchiai) e il cibo veniva portato alla bocca con le mani o passato dagli schiavi.
Figuriamoci come si riduceva il pavimento!
Ma i romani avevano trovato una soluzione.
Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia (36, 184) che fu il mosaicista greco Soso da Pergamo (II sec a.C.) inventò un trompe d’oeil pavimentare con resti di cibo disegnati in stile naturalistico.
L’originale e’ andato perso, ma il tema godette di grande fama, e venne ripreso in molteplici ville romane della tarda repubblica-primo impero.
Si pensa in realtá che il tema dell’ asaroton oikos (pavimento non spazzato) avesse un fine decorativo e pratico. Da un lato, cioé, stava a ricordare anche di giorno i bagordi che si celebravano la sera nelle sale triclinari (e di conseguenza lo status della famiglia) dall’ altro -secondo alcuni- poteva avere il fine pratico di non costringere i servi a spazzare varie volte durante la cena, giacché i resti di cibo si sarebbero comunque confusi con la decorazione.
Detto con le parole di Plinio N H (36, 184) :
“Celeberrimus fuit in hoc genere Sosus, qui Pergami stravit quem vocant asaroton oecon, quoniam purgamenta cenae in pavimentis quaeque everri solent velut relicta fecerat parvis e tessellis tinctisque in varios colores “
“Fu molto celebre in questo genere [di pavimenti a mosaico] Soso, che a Pergamo fece il motivo che si chiama “sala non spazzata”: aveva riprodotto sui pavimenti con tasselli di mosaico colorati i rimasugli di una cena cena e quelle cose che appena buttate [a terra] si usa spazzare via.”
Per una rassegna completa sull’ Asaroton Oikos di Aquileia qui; quello di Vigna Lupi conservato ora ai Musei Vaticani si puo’ vedere in dettaglio qui.
Il mosaico di Aquileia

Il mosaico di Vigna Lupi (notare il topolino!)

Conservato al Museo del Bardo di Tunisi:
