Hammurabi, il sesto re, il pacificatore, l’unificatore della Mesopotamia. Hammurabi il riformatore della religione. Hammurabi il grande legislatore.

Lo studiamo per il suo “codice” di leggi conservato nelle tavolette del Louvre, questo grande sovrano paleo-babilonese. Una delle prime testimonianze di legge scritta ed esposta nei templi, anche se aveva valore piu’ esemplificativo che prescrittivo. Lo studiamo perché fu un abile governatore, perché il suo regno fu prospero, perche’ scrisse molte lettere ai suoi amministratori e alcune arrivarono a noi.
Non lo studiamo -non a scuola almento- per il contributo che diede alla storia della cucina.
Quindi ora si rimedia.
Beh, il contributo alla storia della cucina non lo diede proprio lui in persona, ma quasi.

Le mie amate tavolette di Mari, quei tre antichi ricettari in scrittura cuneiforme che ora sono conservate a Yale (e dei quali ho parlato moltissime volte per esempio qui, qui e qui, perché di fatto sono l’inizio della storia della cucina occidentale), risalgono proprio all’ epoca del grande sovrano Hammurabi, il diciottesimo secolo a.C. e fanno riferimento, secondo gli storici, alla cucina di corte. Le datazioni per l’epoca paleo-babilonese sono incerte, a dire il vero, quindi puo’ darsi che le ricette le abbiano scritte qualche decennio prima o qualche decennio dopo il regno di Hammurabi ma -come per le leggi- anche se fosse cosí non sarebbe grave, perché si tratta della registrazione di tradizioni lunghe.
Possiamo dunque affermare con una certa serenitá che anche Hammurabi, quasi quattromila anni fa, mangiava la pasta. Grattini in brodo, per l’esattezza, ma anche paste corte tagliate con o sugo di cervo.
Si chiamavano Risnatu, i “grattini” di Hammourabi ed erano paste stese, non lievitate, fatte seccare poi cotte nel brodo.
L’ipotesi di Massimo Montanari é che questi tipi di pasta fossero nati dalle “gallette”, le prime forme di “crakers”, nonne anche del pane e dei biscotti.
La tavoletta 4644 ricetta 25 IX parla proprio di un impasto di cereali e acqua, fatto seccare, poi grattato e cotto in brodo. Altre ricette conservate nelle tavolette babilonesi prevedono di ridurre la pasta ad una polvere sottile, quasi un semolino, e usarlo come addensante per le minestre in brodo. Non mancano poi le ricette di pasta “grattata” in scaglie piú grandi, e cotta nel latte.

Hammurabi dunque mangiava grattini in brodo, ma poteva anche optare per semolino o per formati di pasta piú grandi.
Jean Bottero, il piu’ illustre traduttore delle tavolette di Mari, ricorda che il babilonese Rishta passó al persiano reshteh / rishta che indicava paste stese con il mattarello e tagliate a striscioline. Le tagliatelle, insomma. Si chiama ancora cosí.
Marco Polo, con buona pace di chi ancora pensa che abbia portato la pasta dalla cina, sarebbe nato tremila anni dopo.

Poiché nelle tavolette di Mari la “ricetta” della pasta dice solo di grattarla e farla bollire in brodo (possiamo immaginarcelo senza farlo), oggi vi lascio invece una ricetta contemporanea iraniana, nella versione della rivista americana Epicurious. Si chiama nientemento che Ash-e-reshteh. Una “nipotina”, anche nel nome, dei Risnatu di Hammurrabi e della Ristha persiana che si serve a fine marzo per Norooz, l’anno nuovo persiano.
Si tratta in pratica di preparare una zuppa di legumi aromatizzata all’ aglio e far caramellare a parte le cipolle. Quando la zuppa é quasi pronta, aggiungere la “rishta” (pasta lunga schiacciata) e lasciarla cuocere. Spegnere, insaporire con un trito di menta, cilantro, aneto e prezzemolo e alla fine aggiungere qualche cucchiaio di yogurt fresco. La ricetta completa con i passaggi, si trova qui.
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