Frittelle dolci o salate, cotte nel miele o nello strutto, spolverate di pepe o di semi di papavero: la cucina dei greci e dei romani antichi ne é piena, e non ne fa segreto (ne abbiamo parlato qui).
Eppure, come per l’arte, la letteratura e la medicina, le “frittelle” che mangiamo noi oggi a Carnevale pare abbiano fatto un giro molto lungo prima di “tornare” nella nostra penisola.
A Roma (Biblioteca nazionale Casanatense) é conservato un documento della metá del Trecento, di un “anonimo veneziano” che ci lascia tra l’altro varie ricette di “fritoe” della Serenissima. Nel Trecento veneziano il consumo di “fritoe” era di gran moda e rimarrá cosí fino a tutto l Ottocento (ne parleremo ancora qui). Ma in che occasione “scoppió” questa moda?
Il Bellunese Andrea Alpago, medico a Bagdad nel Cinquecento, ci dá una traccia (nel Cinquecento le “fritoe” erano ancora in gran uso a Venezia e si vendevano per le strade come specialitá, quindi non stupisce che abbiano attirato l’attenzione di questo “sociologo” ante-litteram): nel libro “Interpretatio arabicorum nominum” (Interpretazione di nomi arabi) del 1527, traduce termini relativi alla scienza e alla gastronomia araba. Fra questi nomina l’“Alzelabia”/“Alzelabi” /“Zelabile”, e la sua spiegazione, detta in italiano, è la seguente: “Az- zilābiyà è una pietanza di pasta molto tenera a forma di luna, che viene fritta nell’olio, quindi mangiata con miele o zucchero. Molto diffuso in Egitto e in Siria [questo cibo] assai spugnoso può essere più o meno spesso o sottile nei diversi punti. Tale preparazione, di cui si parla nel libro Minhāju ‘l bayān, presso gli abitanti dell’Italia è chiamata ‘frittola’”.

Sembra dunque che la “Frittola/Fritoa” veneziana si sia ispirata alla cucina persiana (che non é detto non sia stata fonte anche, un paio di millenni prima, delle ricette greche e poi romane). Ma come -e quando- ci é arrivata?

di Ibn Jazla -Glasgow University Library
Il contatto tra la cucina araba (di matrice persiana) e quella Veneziana avvenne proprio nella seconda metá del Duecento, cioé una settantina d’anni prima che “l’anonimo veneziano” scrivesse le sue ricette delle frittelle. Giambonino da Cremona, docente di scienza e Rettore all’ Universitá di Padova nel 1262 scrisse infatti un trattatello intitolato “Liber de ferculis et condimentis” (“Libro di cucina e condimenti” o anche “Libro di piatti conditi”) che ebbe un notevole successo nella repubblica di Venezia e in Lombardia influenzando di fatto la cucina italiana prima ed europea poi.

recentemente reso disponibile
al grande pubblico
Giambonino da Cremona traduce in latino dall’arabo 83 delle 2179 voci della monumentale opera araba: una serie di ricette del medico iracheno Ibn Jazla. Giambonino apporta delle modifiche secondo la sua cultura veneziana lasciandoci cosí un trattato a suo modo originale. Jazla era un cristiano convertito all’ Islam nel XI secolo, uomo di scienza a Bagdad e autore generoso. Prima che da Giambonino era stato tradotto in latino dal medico ebreo siciliano Faraj ibn Sālim (“Tacuinum aegritudinum et morborum”).
In effetti l’Anonimo Veneziano (autore delle prime ricette di frittelle veneziane) si ispira anche all’ Anonimo Meridionale e al Liber de Coquina, due trattati di cucina di inizio Trecento (quindi di poco precedenti) nati in seno alla corte Angioina e profondamente influenzati dai trattati di cucina araba .
Nel trattato di Giambonino da Cremona si leggono due ricette che l’Accademia della Cucina di Venezia ha riconosciuto come le dirette antenate delle Frittelle veneziane non perché siano diverse da quelle romane (non lo sono) ma perché influenzarono la moda del Trecento al punto da rendere le “fritole” veneziane un classico della cittá per centinaia di anni.
“Zelebia è migliore delle mandorle confette e di chataiff; ed è digeribile ed è giovevole alla tosse umida ed è anche buona per il petto e per i polmoni, e riscalda un poco e il suo danno si rimuove con melograne o con uno scippo agro, e provoca vapori nei condotti del fegato. E si fa così: lavora ovvero impasta bene una pastella – e falla con il lievito – e dividila in porzioni gettandola con un cucchiaio in una padella dove ci sia olio o strutto, e friggila bene e poi mettila in un recipiente dove ci sia miele, e dai a chi vuoi.”
L’altra dice così: “Zelebia alia cioè un’altra e si chiama zelebia ripiena. E si fa così: prendi la pasta e lavorala con il latte e fai con essa focacce o frittelle, e impastaci dentro mandorle pestate e zucchero e un poco di canfora e fai cuocere in olio disamini [di sesamo] o altro olio o strutto; poi metti nel giulebbe e servi.”
Le frittelle Zelebia sono ancora un classico della cucina islamica e guardandole bene (non é difficile trovarne fotografie) non possiamo negare una certa somiglianza con i nostri dolci di carnevale…
