Roma cittá aperta: pane, cavoli, pasta e fame

Ci si accosta con solennitá e rispetto a film colossali come questo. Solennitá, rispetto e silenzio, perché tutto é giá stato detto, o comunque molto, e difficilmente potró aggiungere qualcosa io.

Per chi non l’ha visto: il primo video caricato qui sopra é il film completo, e vale la pena vederlo. Con occhio storico, o cinematografico, o politico: ognuno lo veda come vuole. Noi qui, in un blog che si chiama “storiaincucina”, facciamo il nostro lavoro, e ci concentriamo su una lettura “gastronomica” di un film che é ben altro. Abbiamo imparato, osservando altri “grandi” come Dante e Boccaccio nei mesi scorsi, che nelle opere supreme sono spesso nascosti dettagli involontari che danno informazioni su come era la societá, anche a tavola, in altri tempi, in altri universi. E ad osservare quei dettagli, ben consci dei nostri limiti, ci atteniamo.

UN PROGETTO CHE NASCE A CENA

Per una rilettura “culinaria” di Roma cittá aperta, dunque, non possiamo che iniziare dal fatto che il film vede la sua genesi nel 1944, poco dopo la liberazione di Roma, al ristorante. Tra le macerie di una cittá distrutta soprattutto (ma non solo) nell’anima, il regista Roberto Rossellini e gli sceneggiatori Amidei e Consiglio si trovavano da Nino, a via Rasella. Aperto nel 1933, ebbe subito un certo successo, grazie alla cucina tradizionale toscana e, secondo i discendenti del fondatore, grazie anche all’ intuizione “moderna” della cucina a vista.

Ristorante Nino – Tradizionale toscano dala 1934
Ristorante Nino – Tradizionale toscano dala 1934
Il Ristorante Da Nino é ancora aperto in via Borgognona e gestito dalla figlia di Nino, Maria. Offre cucina tipica toscana.

Da Nino non e l’unico locale pubblico a fare da sfondo alla genesi di questo film. Ugo Pirro, nel suo libro che si intitola appunto “Rossellini, Roma città aperta”, racconta di quando proposero ad Aldo Fabrizi, attore comico già di una certa fama, di interpretare il ruolo tragico di Don Pietro. Rimase zitto per tutto il colloquio, e poi accettò con gli occhi pieni di lacrime. L’incontro avvennte in un bar di Piazza di Spagna, il Lampoldi, poi Rugantino.

LA TRAMA

Dopo l’armistizio del 3 Settembre 1943, Roma -giá stremata dalla guerra- attende l’arrivo degli Alleati, in avanzata dal sud, ma é ancora occupata dai tedeschi. Francesco, tipografo antifascista, sta per sposare Pina (Anna Magnani), vicina di casa vedova e giá madre di Marcellino. Pina é in stato di gravidanza avanzata. A casa di Francesco va a rifugiarsi Manfredi, uomo di spicco della resistenza, amante di Marina, una soubrette che flirta con i tedeschi, amica e collega della sorella di Pina. Tra i protagonisti, indimenticabile anche Don Pietro (Aldo Fabrizi), prete di borgata, pronto ad aiutare la Resistenza. Il suo personaggio si ritiene si ispiri a don Giuseppe Morosini, realmente esistito ma secondo quanto riporta nel suo libro Ugo Pirro, collaboratore di Amidei, è basato invece su don Pietro Pappagallo, un prete che fabbricava passaporti falsi per aiutare la resistenza.

Poche ore prima del matrimonio, in una retata per trovare Manfredi, che scappa, i tedeschi catturano Francesco e in una delle scene piú famose della storia del cinema, uccidono Pina. Anche questa vicenda si ispira ad un fatto di cronaca, relativo a Teresa Gullace, uccisa dai tedeschi in via Giulio Cesare.

Manfredi sará in seguito catturato, torturato e ucciso, denunciato dalla sua stessa amante, che temeva di essere lasciata. Don Pietro é fucilato in una delle scene finali.

LA CRITICA

Considerato ora capolavoro e pietra miliare del Neorealismo italiano, all’ uscita (24 settembre 1945) fu inizialmente fischiato dal pubblico e dalla critica. Anche Moravia lo stroncó. Montanelli invece ne elogió la carica innovativa e provocatoria. Il successo internazionale (Parigi e New York) fu più rapido e nel ’46 fece incetta di premi affermandosi poi anche in Italia come un grande classico.

Rome, Open City – Center For Cassette Studies

IL PANE, LA FAME

Iniziamo dunque la rassegna di scene legate al cibo. Siamo in apertura (minuto 7,20 del film completo, il collegamento é all’ inizio di questo post). Le donne, sfinite dal razionamento, assaltano un forno.

21 aprile 1944: le donne del Trionfale danno l'assalto ai forni - Prati

Nella drammaticitá della scena, non mancano i commenti ironici: una passante: “disgraziato, pure i pasticcini c’aveva”. Notevole anche la “gag” del sacrestano, che dopo qualche titubanza non si trattiene e va a prendere le sue porzioni di pane. Il ruolo più dolce spetta peró ad un ufficiale in divisa (“brigadiere”), che mostra le contraddizioni di una città allo sbando. Invece che far valere la sua autorità rimettendo ordine con la forza, accompagna a casa la facinorosa Pina/Anna Magnani e quando lei gli offre due sfilatini, vergognandosi, li accetta “c’ho na fame arretrata!”. E poi conclude: “Sora Pina…ma esisteranno veramente questi americani?”.

UN CAFFE’ “PER MODO DI DIRE”

Arriva, dunque Manfredi a casa di Francesco, e Pina/Anna Magnani che ha le chiavi dopo qualche sospetto iniziale lo accoglie. Al minuto 13,18, Pina a Manfredi: “dio mio non gli ho chiesto nemmeno se vuole un caffè” dice, e il dialogo prosegue a colpi di “non si disturbi” e “ma per carità” con una urbanitas che fa dimenticare si tratti di un dialogo tra due rivoluzionari, braccati dai tedeschi. E d’altra parte, dicono gli storici (e anche le cronache di famiglia) la resistenza si infilò nelle case e nelle vite normali delle persone, senza spazzare via del tutto -e per fortuna- la loro identitá pacifica, borghese.

Il caffè, comunque e come abbiamo già visto, in realtà era surrogato, e anche di questo -come se fosse il problema principale in quel momento- la Magnani trova tempo di scusarsi con il suo ospite “guardi che è caffè per modo di dire…”.

Dopo aver mandato suo figlio a cercare aiuto presso Don Pietro, falsificatore di passaporti, mettendo di fatto un bambino di neanche dieci anni in pericolo di vita con una leggerezza inconcepibile per uno spettatore moderno, ma, pare, frequente durante una guerra, Pina torna (minuto 16:18) con una grande cuccuma, e una vezzosa tazzina a fiori, servita con piattino e cucchiaino: “non sarà bono ma almeno è caldo” e continua il surreale dialogo da salotto.

ZUPPA DI CAVOLI

Il Sagrestano, uomo semplice, contraddittorio, che incontriamo sempre alle prese con il cibo, torna dall’ assalto al forno con la sporta piena di pane, e mente Don Pietro che lascia correre. Poco dopo, mentre il parroco rientra con un pericoloso carico di documenti falsi, ritroviamo il sacrestano alle prese con una zuppa di cavoli, che cuoce direttamente sulla stufa per non dover accendere il fuoco (minuto 25,47 ).

MINESTRA DI PASTA

Rientra Francesco, e trova l’amico Manfredi ad attenderlo seduto a tavola. Una tavola, di nuovo, apparecchiata con modestia come ci si aspetta dal contesto sociale, ma con una certa attenzione ai dettagli: non mancano la zuppiera di cristallo per l’insalata, la tovaglia bianca, le posate disposte secondo il galateo. In tavola é pronta una minestra di pasta, non sappiamo in dettaglio di quale ricetta si tratti, probabilmente é un brodo con pasta lunga spezzata. Potrebbe essere Minestra di Broccoli e Arzilla, tipica della tradizione povera romana, anche se i broccoli a dire il vero nel film non si vedono

UN DOLCETTO PER DOMANI

La convivenza, in appartamenti piccoli e con la necessitá di subaffittare camere é difficoltosa e la sera dopo l’assalto al forno, nella casa in cui vivono Pina e sua sorella Lauretta con altre famiglie, dopo una cena di cui non conosciamo i dettagli, si litiga.

Ma presto scopriamo che la padrona di casa, brontolona, sta in realtá cuocendo un dolce per il matrimonio di Pina che si celebrerá all’ alba della mattina seguente. (Al minuto 38,20): “E’ na sorpresa, la sora Elide sta preparando un dolcetto per domani, per il giorno delle nozze”. Anche questo dettaglio lascia un certo sgomento e pure é confermato dai racconti di chi ha vissuto in prima persona quegli anni: ci si sposava, nascevano bambini, venivano festeggiati i momenti importanti della vita, pur nella miseria, tra le rappresaglie tedesche e i bombardamenti.

CARNE, I BOLLINI, SPAGHETTI

Verso la metá del film l’azione si fa piú intensa e i momenti in cui possiamo osservare scene di vita quotidiana vanno scomparendo. Da non perdere la costruzione di una cena “romantica” tra Manfredi (ricercato, e capo della resistenza) e la sua bella amante (soubrette, vicina anche ai tedeschi) alla trattoria da Flavio. La sequenza si apre con due guardie tedesche, che portano al ristoratore “carne”: due angellini vivi. Alle rimostranze di Flavio “io faccio l’oste, mica il macellaio”, Rossellini fa rispondere ai tedeschi “fare noi macellaio” e casomai la battuta andasse persa, Flavio chiosa “oh si, lo so che siete specialisti voialtri”.

Entra Manfredi con Francesco: Mary li sta aspettando. Il cameriere chiede “spaghetti per tutti”? E subito dopo “le tessere per favore”. Anche andare a mangiare al ristorante costava “bollini” delle tessere razionamento cibo. Francesco non l’ha, non é del partito. Mary: “gli presto io un bollino”. Un dialogo che all’ orecchio moderno suona “club Med”, o raccolta punti, ma che nel ’43 conteneva la drammaticitá del cibo che non bastava mai, e a cui non tutti avevano diritto.

Aumenta la tensione, l’oste avvisa che all’ alba hanno arrestato un compagno, Mary sa che sono arrivate le SS a casa. Manfredi é sicuro “qui c’é qualcuno che ha parlato”. Dall’ altra parte della parete, uno sparo, poi un altro. I soldati hanno abbattuto i due agnelli. “Povere bestie” commenta Mary. E chi conosce il film sa che, poco dopo, sará proprio lei a denunciare e far uccidere Manfredi e Don Piero.

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