Povero blog abbandonato, vittima anche lui di questa eterna quarantena argentina (siamo da quasi 5 mesi tra fase 1 e fase 2, con casi in aumento e aereoporti chiusi e crisi economica profonda) e -va detto- di mille altri progetti in corso, uno dei quali prenderá vita proprio qui.
Ma é S. Anna, e per me il 26 luglio cade d’estate alla faccia di meridiani e paralleli (paralleli soprattutto) e di questa bizzarria delle stagioni al contrario.
E’ estate, dunque, nel mio mondo immaginario, ed é ora di comprare la prima uva, quella dolce, bianca, che da piccola pensavo fosse dedicata a me e invece pare (ohibó) che ufficialmente si chiami Luglienga, ma anche Lugliatica, Lugliese, Lignenga, Lugliola, o Luglienchis. E’ con questo ultimo nome che compare su un documento del 1329.
I francesi la chiamano Jouannen, perché pare che la loro fosse pronta un mese prima. Questione ancora tutta da dimostrare. I tedeschi Seidenstraube. Io preferisco Uva di S. Anna, senza molte altre storie.

Apprezzata per essere precoce, ma soprattutto per la sua resistenza ai rigori del freddo, dopo la prima citazione medievale la troviamo con gran frequenza nei documenti dal Cinquecento soprattutto in Germania, Belgio Olanda e lungo il Danubio. Pare comunque che sia originaria del Nord Italia.
E’ un’ uva “amichevole”, da vigneto casalingo e da tavola, e se ne puó anche fare un vino dall’ aroma originale, considerato eccellente da molti, ma non da tutti. Le viti sono note per vigore e resistenza al passo del tempo: alcune possono durare fino a duecento anni
Vitigno antico, dunque e nordico. Solido. Un po’ vanesio, anche, con quel suo caratteristico biondo scuro.
Dopotutto, forse, avevo ragione da piccola, potrebbe chiamarsi “uva di Sant’Anna” perché é dedicata a me.

Piacere di aver scoperto il tuo blog, Anna!
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Anna, tu mi fai ridere con il tuo commento sul blog…ja,ja,ja,
Ma che bella storia questa del’uva di Sant’Anna!
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