L’icontestabile modernitá di Dante. E dei porri

Estate, invernale e all’ombra del ‘lockdown’ a Buenos Aires ma pur sempre estate. O almeno, io sono in vacanza per un paio di settimane. Studio la cucina del Duecento, sulle tracce di Dante, e rileggo avida il manoscritto (ormai digitalizzato) dell’Anonimo Toscano in cerca di qualche ricetta che non tema questa eterna quarantena.

I porri nel Taccuinum Sanitatis

Salto le torte di uccelletti vivi (e svolazzanti, son decorative),gli arrosti di struzzi al camino e mi concentro sulle verdure, che danno sempre grandi soddisfazioni.

Al capitolo porri sto per andare oltre, convinta di saperlo a memoria, quando mi casca l’occhio (oramai quasi spento) su un paragrafo che avevo sempre ignorato, tutta presa dalla riproduzione di zuppe e zuppette.


Dice esattamente cosí (nel manoscritto dell’University of Marburg curato da Candida Martinelli) .

Togli porri interi, bene lavati, e fessi in quattro
parti, e lessali un poco: poi cavali, e poni in taola a scolare; poi
togli farina, e distempera con acqua calda un poco, e mena nel catino
co la mescola fortemente, e con sale dentro. Poi togli quelli porri
a pezza a pezza, et involgi in quella pasta; e poi friggili con olio
ad abbundanza.


L’avevo sempre saltato perché non lo capivo. E anche adesso un po’ mi costa. Immagino panini con dentro porri, che non dovrebbero essere poi tanto diversi dal pane alle cipolle – un ‘evergreen’ da almeno quattromila anni.

Pero’ no, se fosse pane lo direbbe. Saranno grissini? E se fossero tortelli? I tortelli erano giá ampiamente citati sia dall’Anonomo Toscano che dai ricettari precedenti a cui si ispira e si prestavano a molte cotture. Un bel battuto di porri come ripieno, si mettono in pasta, poi si friggono. Potrebbe essere, ma non mi convince.

Finalmente, mi viene un lampo di luciditá. E trovo la chiave, anzi la search key. Perchè per capire le ricette vecchie bisogna trovare una chiave (nella mia testa capisco una ricetta quando riesco a dire “in pratica si tratta di… una torta, una torta salata, un tortello, un arrosto” ecc.). Ed eccola qui, la chiave: è una tempura di porri. Insomma, sono porri in passati in una pastella leggera e fritti, come i fiori di zucca.

Peccato che, come al solito, l’Anonimo Toscano non dia la minima indicazione di tempi e dosi.

Ripenso ai miei anni giapponesi e preparo una pastella abbastanza liquida, idratata al 150% (se fossero 100 g. di farina ci andrebbero 150g di acqua ecc). Al contrario di quanto suggerisce la buonanima, pero’, uso acqua gelida di frigorifero, e lavoro in una ciotola con cubetti di ghiaccio.

Per il resto, seguo il mio toscano preferito alla lettera: taglio i porri in 4 parti, li sbollento, li lascio scolare, li passo nella pastella e li friggo.

E in pochi minuti, e con danni collaterali contenuti, viene una tempura buonissima, che completo con sale dell’Himalaya, sapendo di commettere un falso storico imperdonabile (ma il manoscritto dice comunque di salare la pastella, quindi il sapore non doveva essere tanto diverso).

Ora che ho la chiave di interpretazione non mi ferma piu’ nessuno, e d’altra parte la Tempura di Porri viene presentata anche da Elle e Donna Moderna. Ma non fanno sbollentare la verdura prima, aggiungono uova e pangrattato che appesantiscono. Io le provo, pasticcio un po’, ma resto in sintonia con “l’Anonimo”.

Ecco le dosi che consiglio:

  • 3 porri piccoli, pultiti, tagliati in 4 in senso orizzontale (diventano bite size)
  • 50g di farina e 75 di acqua gelida (ed é comunque avanzata pastella)
  • Olio di semi

*al limite, chi non si fa problemi filologici, potrebbe aggiungere una puntina di polvere lievitante alla farina.


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