Dell’ inverno australe mi piacciono due cose. La prima é che pur essendo abbastanza rigido, offre tregue frequenti di sole e cieli limpidissimi. La seconda sono le arance. Montagne di arance. Dovunque, buonissime, e cosí economiche che quasi conviene pasteggiare a succo d’arancia piuttosto che ad acqua.
Poi c’e’ la questione delle scorzette candite, cosí buone e cosí colorate da far sentire il profumo di Sicilia anche a migliaia di chilometri di distanza.
Intanto che aspettavo le tre cotture e il lento bagno di zucchero, ho fatto in tempo a cercare anche la storia di questo frutto. che adoro.
Nel 304, l’erudito cinese Chi-Han descrive il cedro, l’arancio dolce e diversi tipi di mandarini. Nel suo trattato racconta anche dell’ antiparassitario assolutamente sostenibile che veniva usato: formiche arboree aggressive (Oecophylla smaragolina Fab) in grado di tenere a bada eventuali insetti dannosi.

Del Cedro invece Chi-Han dice che si puo’ consumare cotto, con il miele.

L’inizio peró é molto piú antico: 8 milioni di anni fa alle pendici dell’ Hymalaya giá crescevano i primi agrumi
Si pensa che i primi agrumi a diffondersi siano stati mandarini e pummeli, dei quali l’imperatore Da Yu, nel XXI sec. a.C. giá chiedeva tributi, secondo quanto riporta il classico cinese Yu Gong (di epoca piú tarda rispetto ai fatti narrati).

Nel mediterraneo i cedri, la cui coltivazione era a quel punto molto diffusa nella Media e nella Persia, arrivano senza dubbio con Alessandro magno, che li chiama “mela Persica. Puó darsi che fossero conosciuti da prima ma che non avessero suscitato grande interesse. Virgilio (70-19 a.c.) ne parla, riferendosi ad essi come “frutto de la Media”. A Pompei nella Casa del Frutteto (I sec.) vi é un immagine che taluni hanno voluto attribuire al limone, per quanto sia molto difficile in pittura dire con sicurezza se si trattasse di un limone (in teoria non ancora diffuso in occidente) o di un cedro (giá a quel punto ampiamente diffuso). Non é da scartare neanche l’ipotesi che si tratti veramente di un limone, che tuttavia era conservato come curiositá nella casa di un ricco.

Fast forward, come direbbero gli americani: nel XII secolo, Hugo Falcandus (Historia Hugonis Falcandi Siculi de rebus gestis in Siciliae regno) descrive le bellezze della Sicilia e racconta di agrumi che hanno all’esterno una buccia colorata e odorosa e all’interno sono acidi: lumias (limoni) e arangias (arance).

Nel Regimen sanitatis, datato tradizionalmente XIII sec ma forse anteriore di 200 anni, si raccomanda di mangiare gli agrumi con zucchero per mitigare il sapore ed evitare l’acidità.

Niccolò Speciale nel Rerum Sicularum (1325) racconta che gli aranci erano gli alberi piú apprezzati a Palermo e che il frutto tonifica il cuore ed esalta l’appetito, sebbene la sua acidità possa essere dannosa.
Agrumi con lo zucchero -canditi, dunque- hanno insomma una lunga storia nella dietetica arabo-meridionale.
Rassicurata dalle ultime scoperte, procedo serena con la mia ricetta a base di zucchero.
Per quanto non abbiamo un manoscritto medievale con la ricetta, sappiamo che la preparazione dei canditi era giá d’uso nel Duecento a Palermo dove d’altra parte si trovavano con facilitá sia zucchero che arance e bucce d’arance. Non si pensi, come suggerisce qualcuno, che le “bucce” fossero materiali di scarto per i poveri. Prima ragione: i “poveri” non disponevano di zucchero. Seconda questione, fin dai tempi dei medici romani, dei “citricus” (agrumi) si apprezzavano le virtú curative delle bucce.
La ricetta che seguo per far buccette d’arancia candita, dunque é moderna ma non é difficile immaginare che fosse conosciuta tal quale nell’ antichitá. Non é rapidissima ma é semplice.
Servono arance, acqua, zucchero e un pochino di pazienza.
Tagliare le arance in 6 fettine e pelarle, lasciando la parte bianca attaccata alla buccia.Tagliare ulteriormente le bucce in striscioline di mezzo centimetro.




Collocare le bucce in acqua fredda, portarle a bollore, scolare le bucce e buttare l’acqua. Ripetere l’operazione almeno tre vole con acqua sempre nuova. Potrebbero essere necessarie piu’ bolliture in caso di bucce molto amare.



Colare le bucce nuovamente, e rimetterle sul fuoco ma con una miscela di acqua e zucchero nelle stesse proporzioni (cioé ogni 100g di zucchero, altrettanti di acqua): la miscela deve ricoprire le bucce. Alcune ricette suggeriscono la metá di acqua (cioé 100 g di zucchero e 50 di acqua).
Cuocere una ventina di minuti a fuoco lentissimo, poi lasciarle raffreddare qualche minuto -non di piu’- e immergerle nello zucchero, semolato o normale. Lasciarle poi raffreddare circa 6 ore o comunque tutta la notte.




Si consevano a lungo…a meno che non finiscano subito!
