C’erano Etruschi, Liguri, Euganei, Reti, Camuni, Sicani, Sardi, Latini, Capenati, Siculi, Ausoni-Aurunci, Campani, Opici, Enotri, Itali, Elimi, Sabini, Piceni, Umbri, Sanniti Osci, Lucani, Bruzi, Sabelli adriatici, Sabelli tirrenici.
C’erano inoltre gli Apuli, i Veneti, i Rutuli, i Celti, gli Italioti i Sicelioti e naturalmente i coloni greci.
Tante erano -e non é detto non se ne trovino di nuove -le popolazioni che abitavano o avevano abitato la nostra penisola nei Tremila anni prima che i Romani rubassero la scena.

Alcuni erano indio-europei, altri no (i liguri, i sardi, gli etruschi).
Di come vivevano, e cosa mangiavano, sappiamo pochino -piú che altro per racconti tardi dei romani e per ritrovamenti archeologici. I Piceni facevano un pane straordinario (ne parleremo). I Latini facevano la pizza (ne abbiamo parlato qui)

Gli Etruschi, tra le altre meraviglie, sapevano fare la porchetta. Nel senso proprio, “moderno”, di maialino svuotato, riempito di erbe e aromi e cotto a lungo allo spiedo.
Avevano addirittura inventato un forno apposito per la porchetta.

Ma abbiamo ritrovamenti ancora piú antichi. Campli in provincia di Teramo (Abruzzo) ospita un’ ampia necropoli che rivela testimonianze archeologiche per un’ estensione temporale di quasi mille anni: un’ ottima fonte sugli usi delle popolazioni italiche dell’ italia centrale. Qui sono state trovate tra l’altro abbondanti tracce di ossa di maiali destinati al consumo umano. Venivano arrostiti da giovani, e appena macellati, per questo si ritiene che si tratti delle prime tracce della porchetta, che in questo caso daterebbero ben al X sec a.C .
Farcire e cuocere allo spiedo maialini non troppo grandi era una tecnica che permetteva di conservare subito la carne. La macellazione di un maiale intero invece comportava quasi sempre la necessitá di cotture in forni enormi e di saper conservare la carne insaccata -tecnica che non era di tutti.
Anche i Romani apprezzavano i maialini farciti allo spiedo -anche se, sia chiaro, sia i popoli pre-romani che i romani avevano un’ alimentazione basata prevalentemente su legumi e ortaggi. Norcia era in quell’ epoca zona di grandi allevamenti di capi di bestiame che venivano particolarmente apprezzati nell’ urbe. La parola “norcino” deriva da lí. I romani di etá imperiale -questo lo sappiamo con certezza- sapevano anche giá fare le salsicce “lucaniche” quindi quando sceglievano di mangiare la porchetta piccola lo facevano per gusto e non per necessitá.

Quel che sappiamo dell’ alto medioevo é che i “barbari” del nord erano grandi amanti degli animali allo spiedo, e sicuramente la loro dieta era basata sulla carne (selvaggina e carne di allevamento) piú che la dieta dei loro predecessori. Si ritiene in particolare che l’allevamento dei suini tipico della zona dell’ Emilia Romagna sia un’ ereditá delle abitudini prese durante l’occupazione longobarda. Nell’ Editto di Rotari, il primo corpus di leggi longobarde (del quale abbiamo parlato qui) é previsto che il “magister porcarius” tra i servi fosse quello meglio pagato
Nel 1338 Ambrogio Lorenzetti in un affresco oggi conservato nel Palazzo Comunale di Siena (Allegoria ed effetti del Buono e Cattivo Governo) ritrasse la cinta senese tal quale si puó vedere oggi negli allevamenti.

Nel 1456 Maestro Martino (De Arte Coquinaria) dá indicazioni precise su come preparare la porchetta: una ricetta sicuramente non nuova per l’epoca come abbiamo visto, ma per noi é la prima testimonianza dettagliata di una preparazione che é arrivata ai giorni nostri senza grandi modifiche (a parte le uova e lo zafferano, si puó praticamente considerare la ricetta contemporanea) : in pratica prevede che dopo aver aperto il maiale, svuotato delle interiora e lavato lo si rivolta in modo che la cotenna rimanga all’interno, quindi lo si farcisce con un battuto composto dal suo fegato, erbe aromatiche (prezzemolo, maggiorana), aglio, lardo, formaggio, uova, pepe e zafferano. Ecco la preparazione con le parole originali:
“Fa’ in prima che sia ben pelata in modo che sia biancha et netta. Et poi fendila per lo deritto de la schina (schiena) et caccia fore le interiori et lavala molto bene. et dapoi togli i figatelli de la ditta porchetta, et battili bene col coltello inseme con bone herbe, et togli aglio tagliato menuto, et un pocho di bon lardo, et un pocho di caso (cacio) grattugiato, et qualche ovo, et pepero pesto, et un pocho zafrano, et mescola tutte queste cose, et mettele in la ditta porchetta, reversandola (rovesciandola) a modo che si fanno le tenche (tinche) , cio è ponendo quello di dentro di fori. Et dapoi cusila inseme (cucila insieme) et legala bene et ponila accocere nel speto, o vero su la graticola. Na falla cocere adascio che sia ben cotta così la carne come etiamdio il pieno. Et fa’ un pocha si salamora con aceto, pepero et zafrano, et tolli doi o tre ramicelle de lavoro, o salvia, o rosmarino, e gietta spesse volte di tal salamora in su la porchetta. Et simile si pò fare de oche, anatre, gruve, capponi, pollastri, et altri simili”
Oltre all’ interesse storico, questa ricetta presenta un bel ripieno che si potrebbe arrotolare insieme ad un pezzo di arista “aperto”, per fare un arrosto divertente come qui

alla porchetta di Mastro Martino
(foto presa da qui)
Nel 1538 la feudataria di Campli Margherita d’ Austria, figlia illegittima di Carlo V, sposa di Ottaviano Farnese (il duca di Parma e Piacenza) e proprietaria, tra l’altro, di Palazzo Madama a Roma, rinnova gli “statuti della cittá di Campli” che erano di origine medievale: in due articoli si parla diffusamente sia dei prezzi per la vendita interna sia delle condizioni per l’esportazione della porchetta fuori dai confini del feudo -indice questo che i commerci dei porchettai erano abituali.

Attualmente la porchetta, con preparazioni che variano soprattutto nella composizione del ripieno, si mangia soprattutto in lazio, abruzzo e umbria. Varie cittá contendono la “primogenitura” e anche in questo caso la cosa fa un po’ sorridere perché difficilmente la ricetta della porchetta é stata un’ invenzione attribuibile a un luogo o una persona come le ricette creative moderne: sembra piuttosto una preparazione tradizionale diffusa che si é andata consolidando nel corso dei millenni.
Lascio come sintesi finale la ricetta dell’ Accademia della cucina che non é l’unica “autentica” in quanto vi sono diverse tradizioni di preparazione

MAIALE IN PORCHETTA all’uso di Allumiere e Tolfa
- 1 Maialino di circa 10 kg
- olio extravergine d’oliva aglio
- rosmarino
- finocchio
- 1 rametto di alloro rametti di ulivo strutto
- sale e pepe
Togliere le frattaglie al maialino, farle a pezzi e condirle con sale e pepe, porle in padella e farle cuocere con l’olio per breve tempo, giusto per asciugarle, unendovi parecchi spicchi d’aglio con la buccia e schiacciati, rosmarino e finocchio. Salare e pepare sia esternamente che internamente il maialino, riempirlo con le interiora, precedentemente preparate, ed un rametto di alloro; richiudere il maialino appuntando i lembi della pancia con rametti di ulivo fresco e legarlo bene per mantenerlo in forma. Spalmarlo con strutto e metterlo in forno moderato per un paio di ore. Per avere, però, una buona porchetta, sarebbe necessario un forno a legna poiché imprime un aroma particolare alla carne. Potendo usufruire di un forno a legna, è bene mantenere la temperatura non troppo elevata e, solo a fine cottura, aggiungere altra legna, meglio fascine, che alzando di molto il calore renderanno la pelle del maialino color ambra e molto croccante.
